Tuesday, February 25, 2003

Lezioni Francesi

Anche se desideriamo imparare dal passato, spesso la storia non ci fa questa cortesia. Per quanto possiamo essere sicuri che il potere armato dell’America sia schiacciante, non possiamo sapere dove la crisi irachena ci porterà nei prossimi anni o decenni. Malgrado queste incertezze, debbiamo a volte agire comunque. In tali momenti è però importante non agire sulla base dell’ignoranza.

Le cosiddette "lezioni di storia" non ammontano tutto sommato a molto. Alcuni fatti semplici e familiari. Riguardano la natura umana. Il pianeta si restringe, i paesi sono traboccanti di gente, ma non è cambiato l’antico fatto che dobbiamo vivere insieme ogni giorno. Il nostro mondo non finirà domani. E meglio agire insieme che da soli. Meglio parlare che combattere. Spesso non siamo all’altezza nemmeno di queste modeste verità. Ciononostante esse non debbono essere omesse. La democrazia non è mai fondata su tale ignoranza. Tuttavia l’attuale disgrazia degli Stati Uniti è proprio di dimenticare questo.

Il giorno di San Valentino, il ministro degli esteri francese Dominique de Villepin ha reso omaggio alla possibilità di sostituire la violenza con la politica. Chiamiamo questa l’opzione politica. Si è trattato di una lezione correttiva e importante. Dovremmo - noi, popoli e governanti, Americani e Italiani - fare attenzione. In che cosa è consistita la forza della posizione francese ? Non solo l’eloquenza con la quale è stata esposta. Neanche la sua armonia con i prinicipi fondamentali. Piuttosto c’è stata qualche cosa che ha suscitato l’applauso nella grande aula delle Nazioni Uniti e, il giorno dopo, dei milioni sulle strade del mondo intero. La forza dietro il discorso di de Villepin è un desiderio naturale di percorrere l’opzione politica prima di ricorrere alla guerra.

Questo desiderio non ha niente a che fare con la virtù. Poniamo che i francesi non siano angeli. Forse anche loro hanno sete di petrolio - anche se credere che gli Stati Uniti cerchino di controllare il petrolio iracheno sia sottovalutare il perfido fanatismo del governo Bush. Forse - come dicono sempre più spesso negli Stati Uniti - i francesi sono gelosi, vigliacchi, rompiscatole. Non importa. Non c’entra. Esattemente come le motivazioni, giuste o sbagliate, buone o cattive, del governo Bush non determineranno per nulla dove la storia ci porterà.

Cosa importa allora ? Il fatto che de Villepin abbia trovato parole non ambivalenti ma bivalenti. Allo stesso tempo, è riuscito a esprimere degli interessi particolari francesi e a fare appello al sensus communis del mondo. L’opzione politica corrisponde al tipo di vita che desiderano le genti democratiche.

Inoltre importa il fatto che il governo Bush non sia arrivato a trovare tali parole. La ragione è semplice. Il lupo dell’ambizione pura non può essere travestito sotto il mantello del bene comune.

Non è purtroppo una favola. La storia non ha una morale. Se imparassimo da questa situazione, sarebbe attraverso le nostre proprie parole ed azioni. La democrazia ha bisogno sempre di un pubblico per smascherare i trucchi. E’ nella dialettica del dibattito che la differenza fra due discorsi viene svelata. Il dibattito pubblico è un macchinario profondamente umano. Di tanto in tanto è poco maneggevole. Ma, per quanto possa sembrar strano, questa debolezza non è l’essenziale. Nel foro delle Nazioni Unite, il dibattito impone la necessità di trattare; le trattative impongono la necessità di giustificarsi. Il dibattito pubblico diviene perciò una forza senza armi. La Francia ha la parte vincente perche dà giustificazioni inconfutate e irrefiutabili. Tutti sanno - a ben vedere, tutti ammettono - che sarebbe meglio parlare che combattere. Meglio non agire da soli. Il suo incrollabile "unilateralismo" ha lasciato il governo Bush senza niente da dire a coloro i quali il futuro pretende dicontrollare. Questa guerra riguarda tutto il mondo.

Il Presidente Bush ha detto che non si lascerà far dominare dalle voce dei milioni; tuttavia ha risposto chiaramente al discorso dei francesi. Ha detto che se le Nazioni Unite non marciano al ritmo della sua canzone, questa istituzione sperimentale "scomparirà dalla storia come una club di discussione inefficacie e buona a nulla."

Ma, la verità è, ovviamente, il contrario. Il governo Bush ha fatto una scommessa cinica. Ha cercato il sostegno delle Nazioni Unite mentre credeva che non fosse necessario averlo. Facendo cosi, l’ha reso necessario. La sua prepotenza ha amplificato la voce di de Villepin. Nulla avrebbe potuto mostrare più chiaramente il potere delle Nazioni Unite che la scommessa perdente di George W. Bush. Questo sarà vero anche se - soppratutto se - l’America decidesse di andare avanti da sola.

Forse crederete che il discorso di de Villepin e il dibattito alle Nazioni Unite siano stati poco più che un insieme di parole, vento. Ed in generale, l’uso della parola contro la violenza è un segno di debolezza. Ricredetevi. Tutti i poteri di ogni stato, in ultima analisi, consistono nelle energie di coloro che li eseguono: qualcuno deve costruire edifici, raccogliere le tasse, insegnare ai bambini, portare le armi. Queste energie sono dirette piuttosto dalla convinzione che dagli ordini imposti dai governanti. Come ha detto David Hume, i governi si fondono su questa forma d’opinione. Aggungiamo che questa opinione si fonda sull’uso della parola in pubblico. E’ questa, infine, la forza vincente della posizione della Francia: usare dei termini, delle parole in cui anche altri possano rispecchiarsi, sulla base delle quali possano agire. Ci volevano milioni d’italiani e americani il 15 febbraio pronti ad accettare coraggiosamente questa sfida. Prima o poi, George W. Bush dovrà ascoltare. Le vere consequenze di questa guerra dipenderanno dal momento in cui questo avverrà.


Scritto da Parigi per la rivista "Il Ponte" [non e uscita], 24 febbraio 2003